"Siamo al Verde!" e così nacque il bagnetto alla piemontese




Si era diffuso da qualche tempo uno strano via vai. Uomini andavano e venivano dalla Francia, attraversavano le Alpi con carretti pieni di barili. In questi contenitori non si sapeva bene cosa fosse nascosto, ma l'odore non era certo dei migliori. Tra le osterie al di qua e al di là delle vette si iniziò ben presto a diffondere una strana diceria. 

"Secondo me ci sono uova marce", diceva qualcuno.

"Ma basta, che dici! Le uova hanno un altro odore", ribatteva qualcun altro.

Sta di fatto che anche nella Vallata ai piedi del Monte Rosa, si iniziarono ad intravedere personaggi un po' loschi che con carretti di legno, andavano e venivano, ma loro, al contrario di quelle dicerie da locanda nel Torinese, non emanavano olezzi sgradevoli. 

Giuseppe era un bimbo di 9 anni ed era figlio di un oste di una piccola cittadina. Aveva una parlantina allegra e non aveva paura di niente. Un giorno, nell'osteria entrò uno di quegli uomini misteriosi con il carretto. 

Gli avventori appena lo videro da lontano, si incuriosirono. 

"Oh, sta arrivando un carretto, ma chi è quello?", si domandarono alcuni, altri invece si limitarono ad osservare il forestiero.

Un chiacchiericcio sommesso faceva da sottofondo ai profumi di stufato e polenta che arrivavano dalla cucina. 

"Mamma, ma chi è quello?", domandò Giuseppe.

"E che ne so, secondo me è un contrabbandiere. Stai qui e buono..", rispose la donna con il grembiule.

"Adesso vado a chiederglielo".

"No, no, mio caro. Tu stai qui e mi aiuti a servire a tavola".

Ma Giuseppe proprio non riusciva a contenere la sua curiosità.

L'uomo con lo sguardo minaccioso vide venirgli incontro il bambino.

 "Io mi chiamo Giuseppe e tu?"

Lo straniero fece finta di nulla, e continuò a fissare il carretto come se avesse paura che qualcuno potesse rubarglielo.

"Come ti chiami?", insistette il bimbo.

"Sono Noè" e rivolse la schiena verso il bancone, come per voler intendere che no, non aveva nessuna voglia di continuare il discorso. 

"Che c'è nel carretto?", chiese il bimbo.

"Niente." rispose secco l'uomo.

"E allora se non c'è nulla, posso andare a vedere". Giuseppe disse la frase così, tutta d'un fiato, senza badare alle conseguenze, ma non solo. Si precipitò direttamente al carretto, alzò il telone che copriva il cassone e vide bidoni pieni di sale e di acciughe. Il sale. Le acciughe. Aveva visto bene! Gliene aveva parlato tanto la mamma quando gli insegnava a preparare lo stufato e gli aveva detto che erano prodotti per i ricchi e che avere anche solo un sacchettino di quell'oro bianco o di quel pizzico di mare era merce davvero rara. 

E lì in quel carretto c'era tanta, anzi tantissima merce rara! Era talmente meravigliato che non si accorse del malvivente che lo prese di peso e lo riportò all'ingresso della locanda. "Non dire niente a nessuno e vattene". 

Il bimbo rimase sotto choc per tantissimo tempo. Quel piccolo segreto lo portò con sè per anni e fu proprio quello che lo incalzò ad iniziare un percorso tra i fornelli. Cominiciò a cucinare nella sua osteria e poi un giorno qualcuno notò le sue capacità e lentamente si fece strada. 

Gli anni passarono e l'esperienza di Giuseppe crebbe come una quercia in un prato solitario. Tanto che un giorno riuscì ad entrare nella cucina dei Savoia. In quella grande sala del loro palazzo, in centro a Torino, c'erano tutti gli ingredienti per sperimentare tante ricette. 

Un giorno arrivò il fornitore fidato di casa Savoia con una bella cassetta di acciughe, sale e prezzemolo in grandi quantità. 

A Giuseppe si accese un ricordo o meglio: un segreto che era rimasto intrecciato nel suo cuore. 

"Il sale e le acciughe sono una rarità. Se li hai tra le mani, dosali bene", queste parole proferite da mamma Anna continuarono a risuonargli nella mente.

"Non posso non usarli", si ripeté. E allora pensò a come impiegare gli ingredienti. Prese l'aglio, limone, olio, aceto, e poi acciughe, prezzemolo. Tagliò, tritò, mescolò. E poi ancora: tuorli in una ciotola, fiocco di punta, cappello da prete, noce, tenerone, culatta. Tutto in una pentola sommersa d'acqua con rosmarino, pomodoro, patate. Tempo da far scorrere e pazienza a mestoli.

 Al rintocco del settimo suono delle campane, impiattò in un bel vassoio. Accanto una ciotola con la salsa verde. 

"Lo chef questa sera ha preparato bollito con la sua salsa", preannunciò il maggiordomo di fronte a re e regina.

I commensali guardarono la ciotola. 

"Siamo al verde?", disse sorridendo il padrone di casa.

"Orsù, Carlo, proviamo. In fondo, il nostro cuoco non ci ha mai deluso", proseguì la donna.

Intinsero un pezzetto di carne nella salsa e assaggiarono. Le papille gustative rotearono e i due strabuzzarono gli occhi.

"Che bontà!", disse il re.

 "Avvisate il cuoco che questa sarà la nostra salsa, la salsa del nostro regno".

E così accadde. Giuseppe fu felicissimo quando seppe della reazione del re. Probabilmente mai si sarebbe immaginato che davvero quella salsa sarebbe diventata una delle ricette tradizionali del Piemonte.


Questa briciola si ispira alla storia dello chef Vialardi che nella prima metà dell'Ottocento fu cuoco presso casa Savoia. La ricetta si può leggere nel trattato di Vialardi n.52, Salsa Remolade Fredda, pag. 88 in Trattato di Cucina, Pasticceria Moderna, Credenza e relativa Confettureria, di Giovanni Vialardi, aiutatante capo cuoco pasticcere di Carlo Alberto e Vittorio Emanuele II, re di Sardegna, Torino 1854.




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