Dal "cantar le uova" alla bagna càuda

Era ormai arrivata la sera della Pasqua. Come da tradizione, anche quell'anno, era gunto il tempo di prepararsi per il consueto canto. Luisa, che aveva da poco compiuto il suo quindicesimo anno di età, si preparò di tutto punto per la questua delle uova. Indossò il tabarro nero mentre la madre le diede da reggere in mano un cestino. In questo piccolo paniere la giovane avrebbe raccolto le uova offerte dai compaesani in cambio di un canto intonato insieme alla brigata, tutta al femminile (si sa che a Verello, le ragazze hanno riletto le tradizioni in maniera originale e a differenza di cosa si sente in giro, in quel paese non sono i giovani a fare la questua ma le donzelle). 
Una volta pronta, Luisa uscì di casa e raggiunse le sue coscritte per la questua pasquale tra le cascine. Ad ogni fermata cantavano una filastrocca in dialetto, in cambio di uova che avrebbero poi usato per la preparazione di una frittata per il pranzo di Pasquetta. Siamo partite dalle nostre case che era da poco sera, per venirvi a salutare e darvi la buona sera", esordivano in dialetto. Via via si presentavano in ogni tenuta. C'era chi lasciava loro le tanto attese uova e chi faceva finta di nulla, nascondendosi dietro le tende, al di là delle finestre. E le ragazze rispondevano ai gesti solidali o alla noncuranza dei padroni di casa, con versi melodiosi o scherzosi. Quella notte però accadde qualcosa di strano: le giovani incrociarono sulla strada un uomo che aveva sulle spalle una simil gerla, stracolma. "Ragazze, mi sapete indicare dove trovare Lorido?", chiese il forestiero.
"E' poco distante da qui - rispose Luisa -. Stava cercando qualcuno in particolare?"
"Sto cercando i Velieri", disse l'uomo con un filo di voce.
"La portiamo noi", proseguì Luisa. I Velieri erano signorotti locali che erano esperti nella lavorazione della seta ed erano conosciuti da tutti per la loro benevolenza, oltre che per la loro capacità nel trattare i bachi e il pregiato tessuto. 
Passò una manciata di minuti e la brigata portò sulla soglia della grande villa lo straniero. Per la gentilezza che gli era stata dimostrata, l'uomo decise di donare a Luisa due barattoli. "Questo è olio, e queste sono acciughe che arrivano dal mar ligure. Fate sciogliere le acciughe nell'olio e quando il tegame è ancora caldo, assaggiate. E' una prelibatezza quella bagna". 
Terminata la questua, Luisa tornò a casa e spiegò la storia alla madre. La donna non si fidava molto delle parole proferite dallo sconosciuto alla figlia, d'altro canto però era anche un po' curiosa di quei due ingredienti tanto nuovi. E così provò a realizzare il piatto che la figlia spiegò come r. Una volta pronta, la "bagna" venne versata in tre piatti. Luisa fu la prima ad assaggiare: "E' buonissima!", esordì. Nel mentre anche i genitori affondarono il cucchiaio nel piatto per poi porlo alle labbra. Dopo qualche istante di esitazione, assaggiarono. "Non ho mai mangiato qualcosa di così buono", disse il padre di Luisa, e di rimando la madre della ragazza: "Buona, buona, sta bagna càuda". 
E così i tre componenti della famiglia in un batter d'occhio divorarono la specialità che rese diversa e originale allo stesso tempo la Pasqua di quell'anno. 

Nella foto tratta da Wikipedia il dipinto "Le Concert dans l'œuf" di Jérôme Bosch. La storia è inventata ma si fonda su elementi radicati nella tradizione piemontese. Il "Cantar le uova" è una pratica ancora oggi ripetuta in alcune località soprattutto del Basso Piemonte. 

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