Ricettario di famiglia e rametti di sambuco
"Oggi Laura ti spiego come si fa al mè unc (il mio unguento)". Ha esordito così l'altro giorno la anziana che mi ha adottata come sua nipote e abita di fronte a me.
Erano da poco passate le 14 quando mentre stavo ritirando i panni stesi, ho visto il sorriso luminoso di Adele, 75 anni sulla carta, ma il cuore da ragazza.
"Buongiorno signora, come sta?", ho chiesto mentre prendevo la bacinella con gli abiti asciutti e pronti per essere stirati.
"Bene, bene, sto preparando al mè unc", mi risponde.
Incuriosita, le chiedo maggiori dettagli e lei prosegue raccontandomi che si tratta di una sorta di pomata artigianale che si tramanda di generazione in generazione: "La mia bisnonna raccontava che sin dal tempo dei castelli si faceva questo unguento e infatti ho la prova: ho un libricino che ci tramandiamo, che riporta come prima ricetta proprio questo ungueto. E chi ha scritto gli ingredienti ha lasciato come data il 20 aprile del 1498", dice con gran orgoglio ed entusiasmo.
"Ma che meraviglia", commento ad alta voce.
"L'unguento è facile da fare: prendi un pentolino e versi mezzo litro di olio - precisa Adele -, poi prendi dei rametti di sambuco. Bada bene: devono essere quelli che fioriscono con la luna crescente, non quelli che vuoi tu. Poi aggiungi cinque foglie di salvia belle grandi, qualche mandorla o noce, e la cera vergine. Mescoli tutto, rovesci in un vasetto e lo lasci per una notte a riposare. Il giorno dopo avrai una crema naturale per le mani".
Io sorrido, e la ringrazio: "Che bello pensare che una delle ricette dei suoi antenati sia arrivata sino a noi. E' come se parte della sua famiglia continui a vivere accanto a lei, oltre i confini del tempo".
Lei mi chiede di aspettare un momento. Scompare per qualche istante e dopo pochi minuti si affaccia al davanzale.
"Tutto scritto, cara Laura" e mi mostra un libricino che più che un ricettario sembra un album di famiglia.
Seppur tra me e Adele ci sia qualche metro di distanza, ho modo di notare le peculiarità del volumetto che ha in mano. A parte le pagine ingiallite dal tempo, scorgo l'ordine con cui è stato confezionato: sulla sinistra un disegno del piatto, a destra gli ingredienti della ricetta e lo svolgimento. In fondo le iniziali di chi aveva lasciato il suo contributo gastronomico oltre che il testimone familiare. E come mi mostra la donna, seppur il libricino abbia "solcato" epoche tanto diverse, chi ha lasciato traccia, ha seguito lo schema iniziale, senza cambiare nulla.
"Che scrigno di emozioni, lo tenga stretto" dico ad Adele. E lei guardandomi mi sussurra: "Ricorda cara che tutto rimane prima nel cuore e poi passa nel ricettario".
Detto questo ci salutiamo, mentre un venticello leggero inizia a smuovere i rami della quercia accanto ai nostri palazzi e qualche fornello inizia ad accendersi.
Foto di Mimzy da Pixabay. La breve storia qui proposta è inventata da chi scrive.
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